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To Rome with love

Domenica pomeriggio, biglietteria del cinema.
AmicoA: com’è il titolo?
Io: buh. le dico “quello di Woody Allen”
Lò: io dico “quello di Benigni”

andiamo bene.

Che poi tanta premura per ricordarsi il titolo non è necessaria, dato che la “multisala” comprende DUE sale e l’unica che proietta è quella che serve a noi. Entriamo e c’è già buio, ma non è il buio a cui siamo abituati è proprio buiobuio. Lò appizza la lanternina sul cellulare e ci sediamo. Mi metto in mezzo così ai pericoli dell’esterno ci pensano gli uomini.

Comincia il film e da qui parte la recensione.

Parto con la premessa che non sono un’espertissima di Woody. Ho visto delle cose – si, certo, i grandi classici – e dei film recenti ho visto solo “Vicky Cristina Barcellona” che mi era piaciuto un sacco. Quindi sono ottimista.

Cartoline da Roma, con un titolo così le inquadrature dovevano essere perforza da cartolina: colosseo, fori imperiali, altare della patria e vigile urbano!
Sì il vigile. Alberto Sordi. Cioè, no, ovviamente non è lui. La stessa inquadratura, gli stessi movimenti.
Omaggio. Il grande Woody omaggia il cinema italiano!
Il vigile -dopo aver causato il solito incidente- ci introduce ai nostri protagonisti.
Ragazza Americana che incontra Ragazzo Italiano e si innamorano. Si innamorano di brutto.
Subito alla prima loro scena, in cui lei chiede indicazioni a lui, il Lò – che mica ha studiato cinema e mica sta qui a scrivere una recensione sul blog per tirarsela come me – dice: “ma dai, ma perchè parlano italiano? lei è ammericana” insomma era così evidente che Woody aveva lasciato originali tutti i registri linguistici che il solito doppiaggio – bravissimi tutti, eh, per carità – mascherava a fatica questa cosa. Grazie Woody, così ora anche mio marito appoggerà la mia mozione “film in lingua originale con i sottotitoli che è roba da fighetti ma come te li gusti i film”.

Tornando al film.
C’è questa coppia. Si innamorano e decidono di sposarsi. Così arrivano i genitori di lei a conoscere i futuri suoceri. Woody è il padre di lei ed è nevrotico come sempre, la madre la fa una che è pettinata e truccata da Diane Keaton, ma non è Diane Keaton. Non mi pareva proprio.
Il buon Woody è appena andato in pensione, faceva il produttore discografico, e scopre che il consuocero beccamortaro ha una voce lirica da paura. Ma solo se è sotto la doccia.
Lo so vi sto spoilerando, ma sta cosa della doccia non è nei Simpsons? Homer fa il tenore e ci riesce solo se è sdraiato. Sicuramente fa più ridere la doccia, ma…ma!?!?!?

Ok ok, prossima storia. Alec Baldwind incontra un ragazzo che sta studiando a Roma e sta vivendo una love story che è uguale a quella che aveva vissuto lui quando da ragazzo studiava a Roma. Questa storia è carina, ma solo perchè Alec salta fuori dappertutto. La storia d’amore è prevedibile, ma abbastanza simpatica. La tipa protagonista è una Scarlett vorrei-ma-non-posso: mora, ma con il musino imbronciato il giusto. Comunque non sta tipa iperattraente che dovrebbe essere. Il protagonista è piuttosto sfigato, ma vabbè.

Vorrei anche ricordarvi, miei cari lettori, che fin dall’inizio abbiamo cercato tutti gli stereotipi classici che si trovano nei film americani quando si trasferiscono in italia. Direi che woody se l’è cavata abbastanza bene perchè abbiamo notato solo: panni stesi, trattoria con stornellatore, donna italiana brutta con abito a fiori e coltellaccio, attore gigione e seduttore.

mancavano: gatti, bambini urlanti, piatto di spaghetti con le polpette e mafiosi.

Ebbene, nella nostra disamina degli stereotipi ad un certo punto ho urlato: Lo Sceicco Bianco!!!

La terza storia è infatti quella di una Coppia di Sposini che arriva a Roma “come se fosse un secondo viaggio di nozze”. Loro sono sfigatissimi e devono incontrare i parenti di lui, che ancora non hanno conosciuto la sposa, i quali vogliono dare un lavoro spettacolare al nipote.

La giovane – interpretata da Alessandra Mastronardi e devo dire proprio bravina – vuole farsi bella e si perde per Roma alla ricerca di un parrucchiere. Ovviamente perde il cellulare – se no era troppo facile rintracciarla – e ovviamente incontra una troupe di attori che sta girando un film. Ornella Muti – sempre più uguale a Serena Grandi nei film di Pupi Avati – le presenta Antonio Albanese (i nomi sono diversi, ma non ho grande memoria) che è, guarda un po’, l’attore preferito della ragazza e subito la intorta via e le propone di “parlare del film nel mio albergo”.

Intanto il marito – Alessandro Tiberi, lo stagista di Boris – si trova Penelope Cruz in versione escort in camera da letto (approposito, a me la Penelope ricordava troppo Belen, sarà l’accento) e deve spacciarla per la moglie ai parenti che arrivano sul più bello.

Qualche differenza, ma la trama è la stessa dello Sceicco. Le differenze, però, non ve le dico, se no non andate più al cinema.

Infine arriviamo a Benigni. Lui è sempre bravo, il personaggio dell’Uomo Qualunque gli riesce bene, ma nemmeno Woody ha resistito alla tentazione di fargli interpretare Benigni (non c’è nulla da fare: potrei ascoltarlo parlare per delle ore, ma vederlo che si toglie i pantaloni in mezzo alla strada mi ha fatto dire “eh no, ancora?!?”. ). L’idea principale di questa storia è carina, ma nasce dal nulla, senza approfondimento e senza portare veramente all’estremo le conseguenze, ed è infarcita di retorica sulla fama e sull’essere famosi. Poi affidare all’autista il ruolo del saggio di turno che filosofeggia è l’equivalente del capo indiano che sa tutto. Uff. Noia.

Ebbene. Nel complesso cosa c’è da aggiungere? Piacevole, certo, simpatico, a tratti. Il Lò – che è il mio metro di misura per capire se un film merita o meno – non si è addormentato, il che depone a favore almeno sulla trama. Certe volte abbiamo riso, però ho passato due ore a chiedermi: se l’avesse fatto un altro sto film? Alcune scene erano degne di alcuni cinepanettoni – eh scusa, Woody, ma è così – il continuo richiamo al cinema italiano dei bei tempi andati mi sembrava più pigrizia che omaggio (perchè Woody fa gli omaggi, se lo giravo io avevo copiato). Gli attori italiani se la sono cavata molto bene – c’è da dirlo – e in pratica erano il 70% del film. Il montaggio era un po’ troppo saltellante, con stacchi troppo netti che in un paio di occasioni hanno tagliato di un secondo o due la scena -però, forse, è colpa del cinema in cui l’abbiamo visto, troppo vecchio, magari il proiettore saltava – le luci e le scene erano proprio da cartolina, molto bidimensionali.

Insomma in tutto sto film è mancato un po’ di spessore. Un po’ di approfondimento dei personaggi, un po’ di motivazione nelle storie – anche nella loro assurdità un po’ di peso in più non sarebbe stato male – e siamo usciti dal cinema pensando “ok Woody voleva farsi una vacanza a Roma e poi alla fine ha deciso di mettere in piedi un film per passare il tempo”.

Ecco. Non ve lo stronco del tutto, però, magari, andate al cinema pensando di andare a passare due ore leggere, senza sperare di trovare il Woody di altre pellicole. O meglio: questo è un film di Woody, magari il prossimo sarà un film di Allen.

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